La marca in tempo di crisi

Alla ricerca del tesoro dimenticato

«Il brand, l’asset più importante per il business di un’azienda, ha il primario compito di emozionare gli stakeholder».

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In tempi di crisi economica è ancor più importante ricordare qual è la missione di un brand e della sua identità. Quando il mercato soffre di una contingenza difficile i giochi si fanno duri ed è in queste circostanze che ogni piccola difficoltà diventa un ostacolo insormontabile. Le imprese che in passato non hanno compreso la centralità della marca si trovano a dover risolvere problemi di profonda e varia natura. La marca è come un “salvagente”, anche se imprescindibile è la qualità dei prodotti e dei servizi offerti. Allo stesso modo, nessuno negherebbe l’utilità di fare pubblicità, ma quando si attraversa una fase di recessione economica diffusa e radicata, prodotto e pubblicità diventano necessari ma non sufficienti. Le persone oggi non vogliono solo acquistare un prodotto, vogliono comprare un’idea che vada oltre al prodotto, hanno bisogno del Brand, con la B maiuscola, che in questa circostanza possiamo definire come un’elisir di puro coinvolgimento emotivo. Che la competizione sul mercato debba essere affrontata definendo con chiarezza ciò che una marca personifica, è risaputo, ma, per quanto questo sia un assunto ben condiviso, ancora oggi sono rare le aziende che investono nell’evoluzione del proprio business da una mentalità basata sull’offerta verso una strategia orientata all’affermazione del brand.

 

Sviluppo del business
Affinché una marca svolga le sue funzioni di “business developer”, è importante che venga considerata come un essere vivente, come fosse una persona in carne e ossa, con tanto di cervello ed emozioni. In quanto tale, anche la marca nel tempo cresce e fa esperienze; deve progredire e agire prontamente rispetto all’ambiente circostante, pur mantenendosi coerente alla sua personalità. Quindi, proprio quando il contesto congiunturale mette a dura prova l’ottimismo degli individui – scoraggiando i consumi e limitando il potere d’acquisto – è spesso il brand che preserva le imprese dal fallimento e le supporta per combattere nei tempi difficili. In casi estremi, anche la sopravvivenza va considerata un successo. Grazie alla marca è possibile godere di privilegi che il prodotto ha perso da molto tempo, come la capacità di inserirsi in territori strategici meno affollati o l’attitudine ineccepibile di capitalizzare ogni buona azione compiuta negli anni passati. Il brand è di fatto un eccezionale catalizzatore di valore e un ottimo “sviluppatore di business”, sempre carico di energia che – a meno di sovrumani e ripetuti attacchi frontali – si autoalimenta grazie a ogni singola performance sul mercato.

Tempo al tempo
Tutto invecchia, ma abbiamo imparato che una marca tenuta sotto controllo ha bisogno di minori accorgimenti rispetto al prodotto, il quale invece, oltre a invecchiare spesso muore inesorabilmente. Come il proverbiale siero di lunga vita, un brand consente all’azienda di rallentare la sua marcia nei momenti di crisi e, se necessario, tenere un passo utile alla sua conservazione, accusando minori rischi di regressione rispetto a un’impresa non supportata dal brand. È in questi momenti che una marca espleta anche il compito di “scudo protettivo”, mettendo in campo la sua capacità di farsi notare e distinguere sul mercato dando una ragione di scelta al cliente anche in periodi difficili. Un brand ha come funzione intrinseca quella di comunicare valori e messaggi diretti, costruendo quella credibilità, indispensabile in tempi di recessione, che rassicura il consumatore e facilita l’azienda nelle necessarie tattiche di marketing. Ma la cosa più vitale della marca è la sua abilità di creare solidi rapporti relazionali e interattivi con i propri clienti, soddisfando il bisogno di sostegno morale indispensabile a ogni individuo, specialmente quando sussiste quel diffuso clima sociale di pessimismo collettivo.